Noodles Journal

Solo il mio modo di vedere le cose

Archivi Categorie: serie tv

Orange is the new black – season 2

orange-is-the-new-black-season-2-review

Meno direttamente concentrata su Piper, la seconda stagione si allarga giustamente a un racconto più corale, offrendo maggiore minutaggio per scavare nel passato e soprattutto nelle psicologie dei personaggi, con l’introduzione di nuove detenute/storie e la definitiva consacrazione di altre nell’empireo del cast: Galina “Red” Reznikov resta un caposaldo della serie anche quando viene messa alle corde. Col racconto di una guerra interna più feroce di quelle viste l’anno scorso e il probabile scioglimento di alcuni nodi narrativi e personaggi ad essi collegati. E se da un lato ci è mancata Alex, è anche vero che questa pausa (più o meno) non ha portato altro che bene, anche perché il loro rapporto rischia sempre di impantanarsi in un tira e molla alla lunga ripetitivo. Detto questo, è comunque bellissimo che l’anno prossimo sia confermata la sua presenza e che la serie riaccolga Alex Vause, alias “5’9”, long black hair…secretary glasses”, secondo la definizione di Piper, cui potrebbe integrarsi quella altrettanto calzante di Nicki: “a lamb with great, sexy glasses and giant pillowy tits inside of my mouth”.

Homeland – 3×12 – The Star

Il season finale somiglia poco alla stagione, che ho trovato la migliore della serie, finalmente più concentrata sugli aspetti logicitici e spionistici. A scapito invece dell’ormai logoro gioco a gatto e topo tra Brody e la CIA. Una stagione che ha messo in ombra persino Carrie.
Un paradosso, ma neanche tanto. Carrie e Brody si reggono soprattutto sulla bravura degli interpreti, ma come personaggi difettano molto. Carrie in special modo. Ed è il motivo per cui questo finale mi convince poco, tutto sbilanciato su Carrie la pazza e su Carrie che fa le carriate senza senso e del tutto contraddittorie con quello che dovrebbe essere un’agente della CIA. Ancor più assurdo che dopo tutti i casini che crea coi suoi colpi di testa nessuno l’abbia ancora cacciata a pedate. Non parliamo poi del rapporto Carrie/Brody: qualcuno riesce a credere all’ammore di questi due? C’è forse un minimo di chimica tra la Danes e Lewis?
L’episodio ha un denoument troppo lungo che si trascina più che andare avanti.
Ciò che funziona invece e che ha funzionato per tutta la stagione sono le dinamiche interne all’Agenzia, ossia tutto il plot che coinvolge Saul, Dar Adal e Lockhart, retto da un realismo politico e un cinismo molto vicini a quella che dev’essere la realtà. E contro cui cozza il personaggio di Carrie, anche a livello di coerenza interna.
Ecco l’unico motivo per cui questo finale non convince, perché somiglia meno a una stagione che invece aveva ingranato molto bene, risolvendo quelli che per me sono sempre stati i difetti di Homeland.

Peaky Blinders (Season 1, BBC TWO)

Primo dopoguerra, una gang-famiglia di Birmingham tenta il salto nella legalità, tra scontri con altre bande e un duro testa a testa con un emissario del governo, solidarietà familiare e legami di sangue, matriarcato e nuova generazione di capitani. Atmosfere western, topoi da noir e saga familiare per le strade inglesi di inizio secolo cadenzate da un irresistibile miscuglio di accenti e slang di strada.
Un cast eccellente capitanato da un freddo e tormentato Cillian Murphy.
Recuperato in due giorni (solo sei episodi), in attesa della seconda stagione: ma se ne parla a settembre 2014.

The Walking Dead – 4×08 – “Too Far Gone”

The Walking Dead chiude la prima parte della stagione con un episodio carico d’azione in cui vengono finalmente al pettine questioni vecchie di due anni di programmazione. Eppure “Too Far Gone” non fa che sottolineare la genetica mediocrità del programma, incapace di smuoversi dalle secche del prevedibile e ambire alle vette della Cable alla quale appartiene. Anche le morti eccellenti risultano telefonate (e in più, non ce ne frega un tubo – e lo dice uno che si commuove per ogni cosa).
E mi sembra questo il difetto principe di The Walking Dead; arrivare al punto con cronico ritardo. E questo vale per l’episodio come per la stagione. Così, anche l’idea buona è vanificata o da una realizzazione ormai fuori tempo massimo o da un’esecuzione pigra e prevedibile (o tutte e due le cose).
Too Far Gone non sarebbe un brutto episodio in senso stretto (anche se ha parecchi difetti interni, i soliti), ma lo diventa ancor più perché epigono di una sfilza di girotondi a vuoto. Inoltre è ormai chiara la cronica mancanza di coraggio, anche della messinscena, che è poi l’aspetto più ridicolo del drama: voler raccontare un’odissea di orrore e zombi senza sporcarsi le mani (anche letteralmente) mostrandolo fino in fondo quell’orrore, sangue e frattaglie comprese. Tutto è sempre programmaticamente diluito, oscurato, affidato al controcampo non mostrato.
E se di fronte a un commento del genere c’è chi mi accusa di essere sempre scontento rispondo che una serie e una stagione non si giudicano dagli episodi singoli, ma dal mosaico che ognuno di essi contribuisce a disegnare. E il disegno di Gimple & soci è parecchio sbadito e pieno di sbavature.

Se non altro hanno finalmente abbandonato quella cavolo di prigione. Ma ci scometto che dura solo l’intervallo di un episodio, due al massimo, prima che si infilino in un’altra stazione-prigione per un’altra stagione o due.

Hell On Wheels (AMC, Season 3)

A me il western piace, in tutte le salse. In tv non ce ne sono molte di serie del genere – e intendo proprio western storici, in questo caso non fa testo il pur splendido Justified. Purtroppo non sono ancora riuscito a recuperare Deadwood, causa cofanetti dei dvd dispersi dalla distribuzione italica e sottotitoli delle prime due stagioni che non si trovano.

Ma veniamo all’argomento del post che già mi sono allungato.

La terza stagione di Hell On Wheels è un piccolo enigma: se la ferrovia procede – più o meno – inarrestabile nel suo corso, sono i personaggi e gli intrecci a essersi bloccati. Gli eventi di quest’anno non possono certo dirsi deludenti, né si può negare la sopraffina bravura del cast, eppure è mancato un po’ il calore. Bohannon ha toccato forse il punto zero della caratterizzazione: più laconico del solito, meno attivo e più “contenitivo”. Mi rendo conto che col nuovo ruolo le cose cambiano, ma trascinare per settimane quello che dovrebbe essere il lead character è pericoloso.

Anche perché poi ti ritrovi con un episodio finale in cui succede l’impossibile, succede più nei quarantacinque minuti finali che in tutta la stagione. Quarantacinque minuti che ribaltano quasi tutto l’impianto tenuto quasi immobile nei precedenti episodi.

Questo non affonda la serie, per carità, anche perché quel rivolgimento finale, nato alla fine del nono episodio, è stato in realtà preparato durante la stagione (e non a caso nella tranche narrativa più interessante e movimentata), una spia che sembrava sopita e che invece riesplode (in faccia) ai personaggi. Ed è forse una svolta che potrebbe tornare molto utile nello smuovere le cristallizzazioni di questa terza stagione.

Sempre che ci sarà una quarta stagione, è ovvio.

Finora non ho trovato riscontri in proposito, e la serie ha già rischiato negli anni scorsi di essere cancellata. Sarebbe davvero frustrante dover accettare che le vicende di Bohannon e soci finiscano proprio nel momento in cui il loro percorso ha imboccato una sterzata così brusca e così gravida di conseguenze narrative, facendovi convergere in modo impeccabile anche uno dei villain migliori della serie. Al momento Hell On Wheels rischia la stessa sorte di Deadwood, cancellata al terzo anno – anche se alcuni colleghi di Serialmente mi dicono che con un finale di stagione che potrebbe essere di serie.

Aspettiamo la conferma (o la cancellazione) della AMC. Certo che dopo la cancellazione (per la seconda volta) di The Killing sempre alla terza stagione (che pure aveva segnato il suo anno migliore) non fa ben sperare.

Cara AMC, a noi piacciono i morti viventi e i pubblicitari di Madison Avenue (quelli sono vere divinità del tubo catodico, chevvelodicoaffare), ma sarebbe motivo di grande felicità ritrovare, nel 2014, anche le rotaie della Union Pacific. E poi come diamine facciamo senza l’opening di Hell On Wheels, uno dei più fighi connubi di musica e immagini, che unisce il ritmo storicamente coerente del west polveroso con la coolness apripista. C’è youtube, lo so, ma mica possiamo metterci lì a guardarlo in loop. E volete mettere la “suspence” e l’attesa settimanale che prelude all’episodio e che segue al cold open?

Copper – seconda stagione (BBC America)

Copper ci saluta, definitivamente, cancellato alla fine della seconda stagione. Si parla di un film, ma quando una serie finisce e specie quando viene cancellata si parla sempre di una conclusione in altro loco, con altro mezzo, che puntualmente poi non arriva mai.

Dispiace soprattutto appurare che ci saluta con questo tredicesimo episodio (della seconda stagione) non certo tra i migliori. Di più, The Place I Called My Home si candida forse ad essere quello meno riuscito, affossato com’è da una certa retorica, dalla ricerca forzosa del pathos e soprattutto per essere ambientato per tre quarti lontano da Five Points, coi nostri tre protagonist a zonzo per i vecchi campi di battaglia tra rievocazioni e flashback, esplicativi e ridondanti.

Gli autori sostengono che la chiusura, seppure forzata, rispetta comunque la volontà di dare conclusione alle vicende. Cosa che fatico a credere, visto che resta quasi tutto aperto, il destino di Corky che sfida l’Organizzazione, la sorte di Eva. Sembra, al contrario, un finale di stagione tradizionale con tanto di cliffhanger che promette la risoluzione del mistero l’anno successivo. Il problema è che non ci saranno altri episodi a sciogliere questi nodi.

Un vero peccato. Copper è stato un gran bel “eastern metropolitano” che metteva insieme detective story, osservazione storico-sociologica degli strati più bassi della popolazione newyorkese, raccontando gli intrecci politici (sporchi, as usually) e gli scontri con un manipolo di poliziotti maneschi e votati all’azione ma in fondo sinceramente votati alla causa della giustizia. Almeno questo era Kevin Corcoran, con tutti i suoi fantasmi del passato, che erano soprattutto personali e famigliari, comunque.

Sarebbe stato interessante continuare a seguire le sue sorti, ma è la tv, baby, e gli ascolti ne hanno decretato la fine anticipata. Pazienza. Chissà, magari davvero ne fanno un film.

Dexter – 8×12 – Remember The Monster?

Alla fine è stato meno peggio di quanto la stagione e gli ultimi anni lasciassero presagire. È il tipo di finale che m’ero sempre immaginato per Dexter e ancora non ci credo che gli autori – questi autori – mi abbiano “dato ragione”.

Mi sono pure piaciute tutta una serie di trovate. Tipo il modo ingegnoso in cui Dexter si para il culo e al contempo si vendica, memore dell’esecutore chirurgico e furbo che fu un tempo.

Il problema è che per ogni aspetto positivo, c’è un risvolto contrario, non si fa a tempo a esultare per una buon i perché da qui a dire che Remember The Monster? salvi la serie… ma neanche da lontano! Un dolce andato a male non si salva con una spennellata di cannella.

Anche perché mi rendo conto di essermi espresso male. Questo finale è degno figlio della stagione, ne conserva tutte le fesserie, le contraddizioni, le evidenti infrazioni al realismo investigativo al realismo tout court, o meglio alla credibilità narrativa, che è altra cosa (vogliamo parlare di Dexter che col cadavere di Debra attraversa un intero ospedale, lo porta via in barca senza che nessuno dica nulla? Lì ho riso parecchio. E come fa a sopravvivere alla tempesta di mare che sfascia la sua barca? Ve lo immaginate Dexter col gommone che torna indietro con delle onde di chissà quanti metri alle spalle? Immaginatevelo!). Senza contare che, pur essendo gli ultimi cinquanta minuti di una serie, la tensione non esisteva e incombeva invece una noia che chiedeva soltanto l’avanzamento veloce (non è proprio un bel complimento, lo capite).

Ciò che mi ha stupito, in positivo, sono stati gli ultimi quindici minuti, più o meno dalla sequenza da cui ho scelto il fotogramma qui sopra, che recuperano alcune delle vecchie (buone) idee e forniscono forse la chiusura migliore e – per quanto mi meraviglio a scriverlo dopo quattro stagioni di cacca – coerente.

Dexter resta solo. Capisce che chi gli sta intorno subisce i danni collaterali prodotti dal suo dark passenger. L’unica soluzione allora è il ritiro, entrare nell’ombra definitivamente, rinunciare alla doppia vita e scegliere un eremitaggio in anonimato, totale, perdendo tutto, la sorella e il figlio e l’amore (poi vabbè tutta la questione su Dexter innamorato di Hannah e dell’amore che lo guarisce dal desiderio di uccidere, lasciamola stare che è una fesseria col botto). È un po’ il discorso che portava la quarta stagione – quella di Trinity – non a caso l’ultima vera fiammata del serial.

Ecco perché, anche di fronte a questo paragrafo di elogi, il saldo risulta comunque negativo. Dopo aver zigzagato per mezzo percorso, a danno dei personaggi e del protagonista, ricodificati tante di quelle volte da risultare vuoti simulacri senza senso narrativo, dopo questo scempio anche raggiungendo la meta giusta si arriva ormai fuori tempo massimo.

Bye bye Dexter, vorrei dire che ci mancherai, ma sarebbe una balla.

p.s. Il fotogramma che volevo scegliere è un altro, l’ultimo, ma non volevo rischiare spoiler. Ma, per chi l’ha già visto, ci siamo capiti, ecco quella è l’immagine che – chiudendo gli occhi – immagino qui.

p.p.s. Qui un mio commento alle dichiarazioni ad alto tasso di paraculaggine di Scott Buck.

Emmy 2013: alcune sorprese, troppe ingiustificate conferme

Gli Emmy fatico a capirli. O meglio, si capiscono benissimo, ma mi sfugge l’attesa e la tensione che dovrebbero generare visto che a essere premiati poi sono sempre gli stessi e che, nelle categorie in cui ti sorprendono, poi, ti fanno restare ancor più basiti.

Riprendo la lista riportata da tvblog con qualche breve commento. Su Loudvision, invece, una rielaborazione più seria e compiuta (si fa per dire) di questi sbraitamenti personali.

  • Miglior drama

Breaking Bad (Amc)
Downton Abbey (Itv)
Game Of Thrones (Hbo)
Homeland (Showtime)
House of Cards (Netflix)
Mad Men (Amc)

Che Breaking Bad vinca ci fa sempre piacere, anche in una cinquina in cui lo meriterebbero tranquillamente, allo stesso livello, sia Mad Men che House of Cards che Homeland.

  • Miglior comedy

Modern Family (Abc)
30 Rock (Nbc)
The Big Bang Theory (Cbs)
Girls (Hbo)
Louie (Fx)
Veep (Hbo)

Ecco qui non capisco. Cioè possibile che Modern family vinca ogni fottutissimo anno? Ma che ha questa serie più delle altre? Ok, è caruccia assai, la seguo sin dalla prima stagione, e la trovo fatta benissimo, ma non al punto da ricevere ogni anno questo plebiscito senza se e senza ma. Anche perché, parliamoci chiaro, a Louie neanche lo vede. La serie di Louis C.K. sta una spanna sopra a tutti, e non rendersene conto equivale a essere ciechi. Nemmeno l’ultima stagione di 30 Rock è riuscita a scalfire questa sequela monotona. Secondo me gli autori di Modern Family pagano la tangente a qualcuno. Leggi il resto dell’articolo

Dexter – 8×11 – Monkey In A Box

Forse comincio a capire. Il modus operandi degli sceneggiatori di Dexter si rivela nel momento in cui i personaggi nuovi buttati dentro in quantità industriali come fossero mangime per polli (gli spettatori) acquistano una precisa funzione. Ma non c’è da esultare, giacché questa funzione ha il compito primario di riaprire – con facili scorciatoie (e si sa che in narrativa le scorciatoie sono sinonimo di negligenza, alias la morte) – le strade chiuse di fronte a cui si trovano i nostri nell’organizzazione del plot stagionale.

Gli autori son lì che scrivono tutta la stagione e arrivano al punto in cui il big bad (si fa per dire, nessuno mi leva dalla testa che pure lui non è che un’altra scorciatoia) è in trappola e sembra bello che arrestato. Ma, fermi tutti!, manca ancora un episodio! E ora che si fa? Cosa diavolo ci mettiamo, in termini di tensione e scontro con Dexter, nel prossimo e ultimo? (che poi ci sarebbe tutta la fuga del nostro, ma lasciamo perdere perché gli autori di cui sopra sono talmente consci della loro dabbenaggine che ormai puntano sul numero anziché sulla qualità – mettiamo quanti più personaggi e ostacoli possibili. Uno dovrà funzionare no? dite che non è credibile? Vabbè ma tanto non se ne accorgono…). E allora torniamo indietro e inseriamo all’ottavo episodio lo U.S. Marshall Cooper, in modo che quando Saxon sembra fuori dai giochi, il nostro Marshall lo rimette in pista nella scena più ridicola del mondo cui segue la morte più scema del mondo.

continua su Serialmente

Low Winter Sun e lo spettatore più detective dei detective

La AMC è sempre generosa e colma di buona cose. Quest’anno ci ha regalato quest’altra serie che pare proprio un bel colpaccio: atmosfere plumbee e cupe, polizia, rimorsi, omicidi, labile confine tra legalità e illegalità, corruzione. Una bel po’ di roba.

Ma non voglio parlare di Low Winter Sun come serie. Mi interessa qui solo tangenzialmente per un evento che apre il pilot, l’omicidio di un collega corrotto da parte di due poliziotti non proprio lindi. Come lo uccidono? Affogandolo nella vasca di un ristorante. Poi, per simulare un suicidio, lo mettono in macchina e la fanno cadere nel fiume. Avendo anche l’attenzione di ammanettarlo allo sterzo: spesso lo fanno i suicidi, dice uno dei due, dimostrando conoscenze derivate da anni sul campo, per non essere “traviati” da ripensamenti.

Quindi una simulazione perfetta al millimetro.

Invece no.

Perché i nostri due detective dimenticano una cosa semplicissima: quando andranno a fare l’autopsia del cadavere, noteranno che l’acqua nei suoi polmoni non è quella del fiume ma di una vasca qualsiasi. Come infatti succede nel secondo episodio.

Il punto della situazione è che già mentre guardavo il pilot avevo notato questa cosa e, sebbene rispetti molto gli autori di Low Winter Sun, questa m’è sembrata un po’ una svista. Due detective così accorti e consci del mestiere che fanno un tale errore? Un errore che ho notato anche io, semplice spettatore di serial? Forse spiegheranno in qualche modo questa gaffe.

Ora però mi interessa un altro aspetto: com’è che io sapevo questa cosa? Da altri serial. Un episodio di X Files, per la precisione. Ventiduesimo episodio della prima stagione, Born Again, dove un detective corrotto ucciso dai suoi colleghi (l’eterno ritorno!) si incarnava in una bambina che aveva continua visioni della sua (di lui) morte. Il poliziotto era stato affogato in un acquario e gettato in mare (o in un lago non ricordo di preciso) e parte della risoluzione del caso dipendeva proprio dalle analisi dell’acqua nei suoi polmoni.

Curioso no? Curioso che noi spettatori di serial – e di serial di investigazione in particolare – possiamo quasi essere promossi detective sul campo (si fa per dire), abbiamo acquisito delle straordinarie conoscenze che magari non ci permettono di risolvere un caso, ma di notare le falle – se ci sono – nel realismo della messinscena di un caso all’interno della narrativa (seriale o cinematografica). Magari non servono a molto queste abilità, ma vogliamo mettere la soddisfazione di cogliere in castagna due detective televisivi, peraltro in un serial che a tre episodi (il quarto devo ancora guardarlo) sembra fatto proprio come Dio comanda (eccezion fatta per questa falla di cui si discute qui).