Noodles Journal

Solo il mio modo di vedere le cose

L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Murakami Haruki

Murakami resta per me un mistero. A livello personale e generale. Nel primo caso tutto dipende dal fatto che nonostante Norwegian Wood sia uno dei miei libri del cuore, nessuno degli altri suoi romanzi mi ha mai convinto davvero. Li ho sempre trovati un po’ semplicistici, con qualche difettuccio continuo. E da qui il secondo mistero: non capisco come lo si possa considerare addirittura papabile di Nobel.

Eppure con L’incolore Tazaki Tsukuru credo abbiamo raggiunto il punto più basso della nostra incomprensione. L’ultimo suo romanzo lo trovo davvero indifendibile e quando leggo le lodi sperticate che gli aficionados gli tributano sbatto le palpebre senza capacitarmene. È probabile che sia un’incomprensione mia, ma francamente l’unico pregio che riesco a riconoscere a questa storia è l’idea di base e l’incipit. Dopodiché, è una debacle senza freni.

Lo spunto iniziale, l’innesco della separazione tra Tsukuru e gli amici diventa di pagina in pagina sempre più incomprensibile e quando il mistero viene svelato… la storia si fa anche più insensata. E ho la sensazione che Murakami stesso se ne sia reso conto, a un certo punto. La dimostrazione di ciò sta nella logorrea irrefrenabile dei personaggi, che non fanno che spiegare e spiegare, aprono la bocca solo per fornire informazioni al lettore, cercando evidentemente di arginare la scarsa coerenza dell’intreccio. Spesso ripetono gli stessi concetti praticamente con le stesse parole. Ci sono sequenze in cui il protagonista va a parlare anni dopo coi suoi vecchi amici e un paio di pagine successive riporta il contenuto di quegli incontri (che noi già abbiamo letto) alla compagna. È evidente che Murakami aveva poca materia su cui lavorare e non gli è venuto in mente altro che rimestarla e ripeterla a intervalli regolari per arrivare a un numero di pagine ragionevoli (da contratto).

E poi se un personaggio parla per spiegare il proprio comportamento o quello di un altro è il sintomo chiaro che qualcosa non funziona. Le azioni definiscono indirettamente i personaggi, non pagine e pagine di chiacchiere peraltro del tutto innaturali (non so chi diamine parli così, se non i personaggi di Murakami). Le lodi tributate al suo stile mi lasciano davvero basito, ma al di là dell’affetto che si possa nutrire per uno scrittore, a me pare che la debacle, stavolta, sia davvero troppo evidente. Non voglio sembrare supponente o irrispettoso verso i suoi lettori affezionati, ma solo esprimere un’opinione diversa, magari non condivisa, ma assolutamente sincera.

2 risposte a “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Murakami Haruki

  1. marco sette 18 agosto 2014 alle 11:47

    Questo libro non l’ho letto ma condivido alcune sensazioni che descrivi che ho avuto con altri suoi libri, piuttosto hai mai letto Antonio Lobo Antunes? Ecco, secondo me è lui da nobel.

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